n. 23 / Vedere l'altro così com'è: andare oltre l'egocentrismo
Spesso la nostra relazione con gli altri si limita ad una interazione con quello che rappresentano per noi: come andare oltre?
Buongiorno e buona settimana.
Desidero riprendere un tema cui avevo accennato in un post di qualche settimana fa su Facebook e che trovo di importanza fondamentale quando si tratta di interagire quotidianamente con gli altri. È il caso dei nostri colleghi, ma anche dei famigliari o di un partner.
Sia le relazioni di intimità che quelle di prossimità ne sono in misura diversa interessate. Oggi vorrei parlarvi dell’egocentrismo e di come (e se) è possibile andare oltre questo fenomeno che rende le relazioni più complicate e piene di malintesi.
Anzitutto l’egocentrismo non è una cosa intellettuale: è sicuramente un fenomeno mentale, ma la mente non è l’intelletto. Lasciami spiegare cosa intendo.
L’intelletto è il mondo dei concetti, quello che ci aiuta a fare i calcoli, a ragionare logicamente, e a mettere in ordine le azioni che vogliamo eseguire. Dal punto di vista cerebrale fa capo alla cosiddetta corteccia pre-frontale o neo-corteccia.
La mente è qualcosa che tiene insieme pensiero e sentimenti, quindi non è solo il luogo della razionalità come l’intelletto. Anche se tendiamo a pensarla così. La mente è quella con cui ci identifichiamo e che consideriamo la sede della coscienza e della nostra identità.
La mente può diventare il nostro più grande nemico quando si tratta di costruire relazioni positive con gli altri.
Questa premessa mi serve per farti capire che il problema dell’egocentrismo è fortemente connesso con l’idea di sé, con i propri bisogni emotivi, e con il grado di consapevolezza che abbiamo di noi stessi e del mondo.
Quando ho iniziato a “vedere l’altro per quello che è”
Scrivevo il 28 Ottobre 2020:
«Sembra scontato, ma non lo è.
Spesso vediamo nell'altro solo il riflesso delle nostre paure, delle nostre ferite e dei nostri bisogni. E non ce ne accorgiamo affatto. Questo può andare avanti per tutta la vita e non cambiare mai.
E soprattutto creare un sacco di sofferenza e conflitto.
Riuscire a vedere le nostre paure, le nostre ferite e i nostri bisogni è la strada maestra per poter vedere l'altro. Tuttavia, non è sufficiente riuscire a identificare questi oggetti che ci appartengono.
Soprattutto nelle relazioni di intimità, nelle relazioni sentimentali o anche con le persone che ci sono affettivamente più vicine nella quotidianità (a volte possono essere colleghi, conviventi, non solo famigliari o partner), vediamo tutto un po' distorto.
Per me il counseling e la psicoterapia sono stati fondamentali in questo percorso. Un terzo tassello è arrivato dalla visione e dalla pratica buddista.
Sapere che le nostre paure, ferite e bisogni incidono sulle nostre relazioni di intimità non basta. Sentirlo, non basta.
Riuscire ad osservarci mentre queste paure, ferite e bisogni lavorano nella nostra testa e ci spingono a certi comportamenti: questa è la vera rivoluzione!
Però serve una pausa dentro lo scorrere interminabile dei nostri pensieri. Occorre ritornare a noi stessi per scoprirlo. Il respiro aiuta. Il respiro crea una pausa se lo osserviamo con attenzione.
Oggi per la prima volta dopo tanti anni, mi accorgo che ho iniziato a vedere chi mi sta accanto per quello che è: non vedo più il riflesso dei miei bisogni, delle mie paure e delle mie ferite.
Non è una conquista, ma una pratica quotidiana. Una cosa che accade mentre la si fa. Osservare la propria mente al lavoro, osservare i propri pensieri è un esercizio da fare con costanza.
Questa scoperta fa cadere improvvisamente ogni ragione per generare conflitto e sofferenza. Quei pensieri sono i miei, eppure non sono miei: sono la voce delle mie paure, delle mie ferite e dei miei bisogni.
Felice di scoprire che è possibile vedere l'altro per come è.
Da lì inizia la vera conoscenza di una persona con cui abbiamo deciso di condividere qualcosa: la quotidianità, la vita oppure semplicemente lo spazio-tempo del lavoro, della convivenza o delle pratiche sociali.
Felice di condividere con te questi pensieri, augurandoti di ritrovare questa "verità" che non è mentale né emozionale: è qualcosa di più profondo».
Oltre l’egocentrismo per gestire le relazioni con efficacia
Ti chiederai: e questo cosa c’entra con la gestione di un team o con i rapporti interpersonali sul lavoro?
Io credo che la gestione di un gruppo e le relazioni che instauriamo sul lavoro siano condizionati enormemente dal gradi di consapevolezza che abbiamo di noi stessi e del nostro egocentrismo.
Se vogliamo essere efficaci nel guidare un team, non bastano delle buone tecniche.
Vedere gli altri al di là di quello che rappresentano “per noi” e per i nostri bisogni è di fondamentale importanza per essere capaci di equità e di equilibrio. E non è una questione intellettuale, ma assai più profonda. Fa parte di un cambiamento interiore.
Serve anzitutto sentirsi persone che vogliono crescere umanamente e che ogni giorno trovano il proprio centro. Se sento il bisogno di accrescere la mia consapevolezza, sono sulla buona strada per costruire pratiche di relazione professionale positive e un ambiente emotivamente salutare per tutti.
Soprattutto quando il mio grado di responsabilità in un’organizzazione è elevato. L’augurio di poter fare di questa pratica di consapevolezza una buona abitudine quotidiana.
Come? Se desideri qualche consiglio più personale, scrivimi qui: info@massimomodesti.it
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Scrivimi privatamente per avere informazioni più dettagliate a: info@massimomodesti.it.
Abbiamo già realizzato due percorsi insieme con un ottimo riscontro dei partecipanti (puoi trovare le recensioni QUI): Intelligenza emotiva e gestione del team di lavoro e Guidare un team con il metodo di Thomas Gordon (leadership efficace).
A seconda delle esigenze dei partecipanti, possiamo ripetere altre edizioni degli stessi workshop oppure costruire dei percorsi ah hoc.
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Buon lavoro e buona settimana,
Massimo
